Questo è un articolo che abbiamo scritto un po’ di tempo fa per fare il confronto della scuola “ai nostri tempi” con i tempi moderni…..vediamo se qualcuno di voi si ritova…
Siamo andate a scuola negli anni ’90, poi l’Università ed infine oggi, nuovamente a scuola: non più in qualità di studenti, ma di insegnanti, ovvero dall’altra parte della barricata. Ci siamo distratte un attimo e abbiamo scoperto che la scuola è profondamente cambiata, o meglio, sono cambiati gli studenti, opinione condivisa sia con gli insegnanti della scuola pubblica sia con i genitori degli stessi ragazzi. Non pensavamo certo di essere così vecchie da dover utilizzare la mitica frase: “ai miei tempi non era così”, ma la realtà di ciò che osserviamo ogni giorno ce lo impone e il confronto fra “vecchio” e “nuovo” diventa inevitabile.
L’esperienza quotidiana con i nuovi studenti mette in luce come i ragazzi di oggi adottino, nei confronti dell’impegno scolastico e della scuola, un approccio profondamente diverso rispetto alla generazione precedente. Tale evoluzione è sicuramente imputabile al cambiamento dei contesti sociali, delle modalità educative, delle nuove tecnologie di comunicazione e di informazione: tutto muta e si trasforma in uno scenario di dinamiche che, tuttavia, rimangono sostanzialmente comuni ai giovani di ieri e di oggi. Sarebbe presuntuoso voler fare un’analisi approfondita di quei mutamenti sociali, educativi e tecnologici che vediamo ripercuotersi sullo stile comportamentale dei ragazzi rispetto alla scuola. Il nostro intento è piuttosto quello di offrire uno spunto di riflessione personale che muove dall’osservazione diretta di questa realtà durante le tante ore di studio trascorse accanto ai ragazzi, senza la pretesa di voler giungere a conclusioni universali.
La sensazione che rimane, al di là delle statistiche, è la nostalgia di un mondo dove le parole “studio” e “insegnare” non significano altro che se stesse. Per fare ciò, abbiamo pensato di raccogliere alcuni pensieri eloquenti (… frasi realmente dette dai nostri ragazzi!!) in riferimento a situazioni scolastiche tipiche, presentandoli sotto forma di battute in contrapposizione , pronunciate da un ipotetico studenti di ieri ( che siamo state noi stesse qualche anno fa ) e da uno di oggi.
Il senso del dovere
IERI: “ Devo fare i compiti altrimenti oggi non posso uscire”.
OGGI:”Farò i compiti quando torno a casa”.
Forse lo studio pomeridiano ha perso per qualcuno la sua priorità rispetto alle altre attività? Viene riconosciuto dagli adulti di riferimento una irrinunciabile necessità di svagarsi attraverso attività extrascolastiche sportivo-ricreative che hanno sicuramente un valore, ma non possono giustificare il “non Studio”. C’èil tempo per fare bene tutto e quando non c’è sarebbe necessario creare una scala di valori prioritari che metta ai primi posti i doveri dello studente.
Il senso della scuola
IERI: “ La scuola è il posto dove posso imparare per costruire il mio futuro: andare a scuola oggi per poter domani andare a lavorare”.
OGGI: “ La scuola è il posto migliore dove un ragazzo possa stare per socializzare, senza il pezzo dio carta non si va da nessuna parte”.
Il diploma così come la laurea sono intesi come frutto di una frequenza scontata della scuola, ma vuoti di contenuti, perché passa spesso l’idea che ciò che imparo a scuola non mi servirà a niente dopo. La scuola diventa l’edificio, piuttosto che il sistema.
Libri
IERI:”I libri vanno letti, sottolineati, schematizzati e studiati. Insomma usati!!” ( La fortuna era trovare, di tanto in tanto delle immagini che rubassero spazio al testo).
OGGI:”Questo libro di storia non è fatto bene. Non è divertente. E’ scritto troppo in piccolo e dà troppe spiegazioni. Per fortuna che alla fine ci sono i riassunti!”.
Non è certo la prima prerogativa dello studio quella di essere un’attività divertente, ma sembra quasi impensabile oggi proporre agli studenti qualcosa che non li coinvolga, passando leggera fra le attività quotidiane. Studiare è studiare: può annoiare, può essere faticoso, perché ci affanniamo a volerla far diventare la più piacevole delle attività? Abbiamo forse paura di chiedere impegno ai nostri ragazzi?
Essere rimandati
IERI:”Passare l’estate a studiare con la paura reale di non superare l’esame a settembre”.
OGGI:” Tanto a settembre non bocciano quasi nessuno”.
IL valore di quel “quasi” è piuttosto fumoso…Il verbo “rimandare” si trasforma in “recuperare” e perde ogni forma di pericolosità. Timore totalmente rimosso dalla reale constatazione che bocciare è diventato molto difficile. Uno degli strumenti in mano ai docenti, nella loro attività di trasmissione dei contenuti e valutazione degli stessi, viene utilizzato solo in casi estremi e questa prassi si ripercuote sulla motivazione dello studente rendendo spesso falsa l’equazione impegno=risultato.
Diritto alla privacy
IERI:” Il tuo nome in rosso con tutte le tue insufficienze pubblicamente esposte sulle vetrate esterne”.
OGGI:”Non mi hanno ancora chiamato a casa per dirmi che sarò bocciato, quindi per quest’anno l’ho scampata”.
Forse la vergogna per il proprio insuccesso potrebbe essere uno stimolo a fare di più? Confrontarsi con gli altri, con i bravi o meno bravi, rimane ieri come oggi un modo efficace per riflettere su se stessi. L’individuo in questo confronto costante e dinamico prende le misure del proprio sé, aggiungendo tasselli alla formazione della sua individualità, scoprendo le proprie potenzialità e i propri limiti.
Essere mandati dal preside
IERI:”Sono finito!”.
OGGI:”Bene, così potrò spiegare le mie ragioni al capo!”.
Forse il valore dell’autorità si è perso a scuola come altrove? Tutto, anche le proprie mancanze, diventano discutibili, in un dialogo che tende alla parità degli interlocutori, anche se i soggetti coinvolti hanno ruoli sociali diversi: discuto con i genitori come se fossero amici e parlo con gli insegnanti come fossero i mie genitori.
Brutti voti
IERI:” ….. E adesso come glielo dico ai mie??”
OGGI: “ E’ che sto antipatico al prof. E poi non sono portato per questa materia”.
L’attribuzione dell’insuccesso a cause esterne non aiuta ad essere responsabili dei propri comportamenti, né permette di modificarli. Bisognerebbe aiutare i ragazzi ad abbandonare questa modalità di pensiero centrata sulle cause esterne e permettere loro di crescere indirizzando l’attenzione su di sé, sui comportamenti e sulle conseguenze che questi producono. Una modalità questa che, con qualche frustrazione in più, metterebbe al riparo da atteggiamenti che prendono in considerazione solo il “qui e ora” e non si spingono all’analisi delle conseguenze a lungo termine. A tutti coloro che si riconoscono o non si riconoscono in questo spaccato, vorremmo offrire la possibilità di riflettere e magari anche sorridere di questi confronti. Chissà se anche i ragazzi di oggi fra vent’anni diranno: “ai miei tempi non era così”.